mercoledì 4 gennaio 2017

Copertina n. 10





Non imperversa il riso
nella tua bocca odiosa?
Ebbene, amico, cogli
nell'orto una rosa.

Moralità o poesia
o bellezza, non so,
protendo questa rosa
a rispecchiarsi sola.
P. P. Pasolini


Il numero 10 della rivista presentava in copertina un brano tratto da Il Narciso e la rosa (in Poesia in forma di rosadi Pier Paolo Pasolini.

Questo è il sommario del numero:





Sommario


Speciale Pasolini 

Editoriale «..con le armi della poesia...»

Pasolini: teatro in versi, pretesto inaugurale? di Gianni D'Elia

Un cinema di poesia di Enzo Pellegrini ­



Poeti italiani contemporanei: Franco Loi

Loi e gli angeli di Cosimo Caputo (III parte)



Gli incontri della Rosa: Erri De Luca

Un sì di petto per Erri De Luca di Emanuele Di Donato



L'ermetismo nella parola lirica di Paul Celan

L'ermetismo nella parola lirica di Paul Celan di Horst Kúnkler (II parte)



Appunti Variabili


A destra in alto a sinistra di Rito Martignetti



L'Intervista

La poesia di Milo De Angelis di Gianfranco Biancofiore (III parte)

Ogni terzo pensiero ‑ Intervista a Giovanni Raboni di Luca Rando e Nicola Sguera



Interventi

L'opera e il senso di Pina Arte



Invito alla lettura

Le regole del silenzio: Octavio Paz
di Ciro Di Maria



Fuori dall'Occidente

La poesia giapponese di epoca Heian di Paola Caruso

Introduzione allo studio della poesia islamica di Luca Zolli (II parte)

Editoriale n. 10




«...con le armi della poesia...»



Ma c'è nell'esistenza
qualcos'altro che amore
per il proprio destino.

È un calcolo senza
miracolo che accora
o sospetto che incrina.

La nostra storia! morsa
di puro amore, forza
razionale e divina.


Prendo come spunto queste parole della sezione "La scoperta di Marx" de L'usignolo della Chiesa Cattolica (Einaudi, 1976) per introdurre questo "speciale" su Pasolini.
Da tempo stavamo pensando ad un numero dedicato a Pier Paolo Pasolini, una delle figure più importanti della storia (non solo letteraria) del nostro Paese. Ci stavamo pensando anche in relazione alla manifestazione svoltasi a Napoli tra ottobre e novembre scorso, manifestazione fortemente voluta dal Teatro Nuovo e da Laura Betti che da anni porta avanti, con l'Associazione "Fondo Pier Paolo Pasolini", in Italia e all'estero, un percorso per mantenere viva 1'opera e la figura dell'intellettuale di Casarsa. Memoria tanto più opportuna in questi nostri anni che tendono alla dimenticanza, alla facile inglobazione, all'utilizzo distorto di parole e immagini. Anni in cui la damnatio memoriae è arrivata fino al punto di negare l' Olocausto...
Durante la manifestazione su Pasolini abbiamo potuto assistere ad incontri di altissimo livello con studiosi, poeti, amici. In particolare sono stati per me stimolanti gli incontri con Guido Calvi (avvocato di parte civile nel processo per l'assassinio di Pasolini) e con il filosofo Aldo Masullo
Quello di Pasolini è stato un delitto politico, ha detto Calvi ricordando il clima di tensione di quegli anni, un delitto non di una sola persona, ma di un gruppo di persone che hanno deciso (a sangue freddo) l'uccisione del poeta. E la responsabilità di terzi emerse anche nel processo. Il delitto di Pasolini è stato un delitto politico, effettuato nei riguardi di un uomo che dava troppo fastidio al Palazzo.
Di quel delitto oggi quanti ricordano? È come se fosse passata un'onda perversa che ha cancellato tutto, anche dalla memoria. Non abbiamo più ricordo di quello che avvenne allora, di quegli anni drammatici tra il '74 ed il '75. Tutto è stato cancellato. Hegel dice che bisogna dimenticare per vivere, ma è invece necessaria, secondo me, una `resistenza della memoria', perché oggi più che mai assistiamo a tentativi di manipolazione delle coscienze attraverso i media che cercano di creare realtà inesistenti e inventarsi un passato, e ci appiattiscono sul presente.
Il richiamo a questa memoria storica, il recupero delle ‘verità' (da proteggere, come dice Fortini), è proprio anche di Pasolini che ci invita a difendere il passato (tutto, intatto), anche quello rappresentato da una piccola stradina di campagna, appena fuori dalla porta antica di Orte. Perché quella stradina, anche se insignificante, noi dobbiamo preservarla fino all'ultimo. Dobbiamo custodire tutto. Dobbiamo difendere tutti i sogni del passato, comunque. Il mondo tutt'intero è una creatura che dobbiamo proteggere e conservare. Tutta. Intatta (è ancora Pasolini che lo dice in un programma televisivo, Pier Paolo Pasolini: una disperata vitalità di Simona Gusberti e di Antonio Debenedetti con la regia di Paolo Brunatto, in onda il 23 e il 28 gennaio 1986 su RAITRE).
Oggi è più che mai necessario questo imperativo, perché la cancellazione della memoria non significa solo disprezzo e manipolazione della verità, ma una imposizione dell'oblio grave sia per le generazioni contemporanee che per quelle future.
Il poeta, in tutto questo, è coscienza critica, è colui che non fa dimenticare, è colui che sprona a non arrendersi e che tiene sveglie le coscienze. A volte le parole sono inadeguate rispetto all'azione, ma compito del poeta è quello di andare avanti mostrando le cose come sono (non mascherandole a vantaggio dell'ideologia dominante). È ciò che ha fatto Pasolini, richiamando sempre le coscienze a riflettere, anche quando ciò che diceva poteva far male (a lui stesso innanzitutto).
Nella polemica sul Pasolini poeta civile 1'intervento di Aldo Masullo ha portato un po' di chiarezza: Pasolini non è un poeta civile, perché il poeta civile si batte all'interno delle istituzioni, mentre egli se ne batte al di fuori, è cioè un poeta di opposizione. Opposizione al Palazzo, a certo tipo di cultura, al potere dei `fascismi' vecchi e nuovi, ai media che «hanno creato il bisogno particolarmente deleterio di un'informazione che ridondi nel senso della propaganda e della pubblicità» (Pier Paolo Pasolini, Il sogno del centauro, Editori Riuniti, pag.155).
Osservando i nostri anni e tutto quello che è accaduto non possiamo che dargli pienamente ragione: non perché Pasolini sia stato un Vate che ha previsto il futuro, ma solo perché sapeva guardare le cose più in profondità, aveva un occhio più attento (non superficiale) ai cambiamenti e a quello che avveniva intorno. Aveva un atteggiamento di stupore e di sorpresa rispetto alla realtà, non la trovava mai banale.
Di quel processo al Palazzo da lui invocato abbiamo visto la realizzazione in questi ultimi anni, a quelle sue parole («Io so. lo so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe"») abbiamo assentito con rabbia per tutto questo tempo passato nell'oblio.
Nella manifestazione napoletana tutto questo è emerso molto bene, nei dibattiti presso l'Istituto italiano di Studi Filosofici in cui sono intervenuti Goffredo Fofi, Walter Siti, Marco Müller, Giancarlo Ferretti, Jacqueline Risset, Giovanni Raboni (di cui pubblichiamo un'intervista fatta in quella occasione e sulla cui poesia, che ci sembra una delle più interessanti e genuine del Novecento, torneremo in un numero successivo), Gianni D'Elia (il cui intervento pubblichiamo all'interno, e che ringraziamo per l'affetto che ci dimostra) e Francesca Sanvitale; negli incontri all'Istituto Universitario Orientale con Giacomo Marramao, Guido Calvi, Aldo Masullo, Carla Pasquinelli, Vittorio Russo, negli incontri con Erri De Luca e Mario Martone, negli spettacoli teatrali al Teatro Mercadante e al Teatro Nuovo (formidabile Il Pratone del Casilino tratto da Petrolio con Antonio Piovanelli, per la regia di Giuseppe Bertolucci), nella retrospettiva cinematografica che ha dato modo di vedere nella sua completezza l'opera filmica di Pasolini, e anche nel seminario organizzato a Salerno dal prof. UmbertoTodini sul Pasolini antichista.
Analizzata in tutti i suoi aspetti l'opera di Pasolini è ancora piena di insegnamenti, di luci accecanti, di feroci verità. Pasolini ci insegna, tra le altre cose, ad osservare la vita, quello che ci circonda, perché è da lì che traiamo i nostri insegnamenti più profondi, da quello con cui siamo a contatto ogni giorno:

«L'educazione data a un ragazzo dagli oggetti, dalle cose, dalla realtà fisica [...] rende quel ragazzo corporeamente quello che è e quello che sarà per tutta la vita. A essere educata è la sua carne come forma del suo spirito. La condizione sociale si riconosce nella carne di un individuo [...]. Perché egli è stato fisicamente plasmato dall'educazione appunto fisica della materia di cui è fatto il suo mondo».

A chiusura di questo editoriale mi volgo col pensiero ad una cara amica scomparsa a cui abbiamo voluto rendere omaggio dedicandole una poesia di Giorgio Caproni e, idealmente, il nostro lavoro sulla poesia.

Luca Rando