lunedì 6 ottobre 2014

Editoriale n. 4



«Una tenuta grandiosa» 

«Sembra che anche il poeta di questo secolo sia passato dall'ordine della necessità a quello della probabilità, poiché i fatti che sceglie non sono più determinati e esemplari, ma probabili e non garantiti da nessuna legge assoluta e inderogabile. E così anche gli sguardi non sembrano più appartenere a un osservatore privilegiato, ma ad uno che guarda e vede portando degli esempi, tanto per spiegarsi».

Queste parole che D'Elia ha scritto parlando della poesia di Zanzotto (Sguardi poetici di Zanzotto, «il manifesto», 29 giugno 1990), ci sembra delineino perfettamente il panorama della poesia contemporanea la quale, perso ogni punto di riferimento, si aggira nel campo del possibile, cercando un proprio luogo di azione. Alla ricerca di questo luogo essa o approda ad un ritorno al sentimentalismo, richiudendosi nell'io personale del poeta, o ritrova il contatto col mondo, cosa che, nel suo piccolo, anche la nostra rivista si propone come obiettivo.
Con questo quarto numero si conclude la ricerca sull'opera poetica di Gianni D'Elia. Anche per la copertina abbiamo scelto una sua poesia tratta dalla raccolta Segreta.
Siamo orgogliosi di aver ricevuto in dono dal poeta un inedito che pubblichiamo all'interno.
Vorremmo che questa rosa divenisse necessaria per sempre più persone, e per questo rinnoviamo l'invito a quanti sono interessati di scrivere su queste pagine.
Ci piace concludere con. le parole di Gian Luigi Beccaria su Giorgio Caproni, ma che è possibile estendere all'idea che noi abbiamo di poesia, la sua tenuta grandiosa:

«La poesia ha di fronte a tanto inesauribile cancellarsi, oggi, di identità individuali e collettive, di fronte al progressivo sgretolarsi di ogni etica personale e comunitaria che sta minando nel profondo la nostra cultura e la nostra civiltà una tenuta grandiosa. E poi mi conferma [...] che la poesia è quanto di meno irrilevante, di più terrestre e di maggior tenuta circoli ora tra gli uomini; oggi più che mai in una civiltà che promuove invece il rovescio, l'oggetto di rapido consumo, l'oggetto-lusso, l'oggetto destinato a cambiare, destinato ad essere utilizzato, il più inutile (la poesia appunto) è proprio quanto continua a restare, quello che è cambiato di meno [...] di tutti gli oggetti il meno provvisorio» («Grande stile» e poesia del Novecento, in Le forme della lontananza, Garzanti, 1989, p.30).

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