Sommersi e salvati?
A parte la forma interrogativa, questo era il titolo di un convegno
tenutosi a Roma agli inizi di marzo organizzato dalla rivista «Teatro e storia»
insieme al Dipartimento della comunicazione letteraria e dello spettacolo
dell'Università di Roma. II convegno giungeva a conclusione di una iniziativa,
tenuta dall'Odin Teatret per i suoi trent'anni di attività, che includeva una
serie di seminari tenuti da Eugenio Barba e dagli attori dell'Odin, la
proiezione di tutti i film prodotti dalla compagine scandinava e lo spettacolo Kaosmos.
In questo incontro, che seguiva le stesse linee dello storico convegno di
Ivrea svoltosi una trentina di anni addietro, sulla situazione del teatro, ho
potuto constatare come a distanza di tanti anni le domande siano sempre le
stesse, ma all'orizzonte non si intraveda alcuna risposta.
In Italia, la sottovalutazione della cultura da parte delle istituzioni, la
scarsa attenzione dei partiti, le razionalizzazioni ministeriali che poi si
rivelano per certi versi "irrazionali", stanno portando lentamente
verso un liberismo che, dietro la pretesa razionalità di mercato, nasconde
visioni culturalmente distruttive, tant'è che sono pochissime le arti che
possono reggersi economicamente sui propri diretti guadagni.
Tuttavia esiste un patrimonio culturale e di risorse umane che è un bene
della nazione e che quindi è nell'interesse collettivo tutelare, ma ciò non può
essere fatto con l'ipocrisia culturale. La stessa è strettamente collegata al
sistema delle sovvenzioni, il cui presupposto non è di per sé sbagliato ma
genera ugualmente conseguenze distorte contribuendo ad appiattire la cultura su
livelli scolastici, compensando l'inadeguatezza con la solennità e facendo
identificare il peso culturale delle produzioni con l'interesse che esse
suscitano presso i media. Le stesse erogazioni dello Stato per la cultura e lo
spettacolo sono in realtà dotate di una duplice faccia in quanto pur essendo
deliberate vengono rese disponibili con macroscopici ritardi, e quindi molto
spesso è necessario il ricorso ad aperture di credito che aggiungono interessi
passivi che vanno così ad incidere pesantemente sulle attività - finanziarie e
non - delle varie iniziative.
Questa situazione paradossale, e che tuttavia è nel pieno della legalità,
si scontra poi con le richieste ministeriali di un buon governo aziendalistico
e manageriale.
Quindi da un lato abbiamo una impossibilità di adeguamento ad una economia
di mercato da parte delle strutture e degli enti che fanno cultura, dall'altro
abbiamo risorse umane impegnate e distinte in due schieramenti: quelle che
perseguono il loro orgoglio artistico e quelle che rischiano l'autoindulgenza e
l'arbitrio.
Tali considerazioni vengono fuori in tutta la loro drammaticità quando si
tratta di negoziare le leggi finanziarie dello Stato e solitamente, secondo
un'abitudine oramai consolidata, le prime spese che si tagliano sono quelle per
l'istruzione e la cultura. In realtà si ignora, o si dimentica, che il futuro
di una nazione e di una società civile non è dato dai chili di acciaio prodotti
dall'industria ma dal patrimonio di cervelli che questa possiede e riesce a
tutelare e valorizzare.
La piaga si è poi acuita in modo più evidente in questi ultimi anni, ma
oggi che viene paventato un ulteriore dimezzamento del F.U.S. (Fondo unico
dello spettacolo) giungono grida d'allarme, visioni apocalittiche, richieste di
azzeramento... C'è da chiedersi che tipo di attenzione prestassero a questi
problemi quelle stesse persone quando gli scempi del patrimonio culturale
italiano venivano iniziati. Le poche voci che ricordo denunciarono la
situazione, vista la partita che si giocava, cercarono all'estero un rifugio e
un territorio dove poter continuare a portare il loro personale contributo al
mondo dell'arte e della scienza, oppure operarono in Italia ma in un clima di
isolamento e sotto gli sguardi sospettosi degli altri.
Gli operatori hanno indubbiamente avuto la grave responsabilità di non
essere stati propositivi, ma certo una maggiore attenzione da parte di tutti
gioverebbe non poco a risollevare le sorti di un campo di fondamentale
importanza. Forse c'è ancora tempo per fare qualcosa.
Vincenzo Pellegrini
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