domenica 4 agosto 2019

Editoriale n.17



Per non dimenticare di Luca Rando

Su un giudizio salomonico sembrano essersi mossi i giudici che hanno condannato Erich Priebke e Karl Hass per l'eccidio delle Fosse Ardeatine. È un giudizio importante perché afferma che i crimini contro l'umanità non vanno in prescrizione, ma le pene, lievi, lasciano l'amaro in bocca. Hass subito libero, Priebke tra qualche mese.

No, non ci sono ordini superiori che giustifichino un eccidio, che giustifichino l'uccisione di un uomo, un solo uomo. Ricordarsi delle mostruosità commesse dal nazismo, combattendo questa deriva perversa che tende a porre tutto sullo stesso piano, a presentare gli italiani, in fondo, come «brava gente», a negare l'Olocausto, è nostro compito imprescindibile.

Ricordiamo, allora, con le parole di Primo Levi:

«Disponiamo ormai di numerose confessioni, deposizioni, ammissioni da parte degli oppressori [...].

A mio parere sono documenti di estrema importanza. [...] Sono molto più importanti le motivazioni e le giustificazioni: perché lo hai fatto? Ti rendevi conto di commettere un delitto? Le risposte a queste due domande, o ad altre analoghe, sono molto simili tra loro [...].

Espresse con formulazioni diverse, e con maggiore o minor protervia a seconda del livello mentale e culturale di chi parla, esse vengono a dire sostanzialmente le stesse cose: l'ho fatto perché mi è stato comandato; altri (i miei superiori) hanno commesso azioni peggiori delle mie; data l'educazione che ho ricevuta, e l'ambiente in cui ho vissuto, non potevo fare altro; se non l'avessi fatto, l'avrebbe fatto con maggiore durezza un altro al mio posto.
Per chi legge queste giustificazioni, il primo moto è di ribrezzo: costoro mentono, non possono credere di essere creduti, non possono non vedere lo squilibrio fra le loro scuse e la mole di dolore e di morte che essi hanno provocata.

Mentono sapendo di mentire: sono in mala fede. [...] Se si leggono le dichiarazioni fatte da Eichmann durante il processo di Gerusalemme, e di Rudolf Höss [...] nella sua autobiografia, vi si riconosce un processo di elaborazione del passato [...]. In sostanza, questi due si sono difesi nel modo classico dei gregari nazisti, o meglio di tutti i gregari: siamo stati educati all'obbedienza assoluta, alla gerarchia, al nazionalismo; siamo stati imbevuti di slogan, ubriacati di cerimonie e manifestazioni; ci hanno insegnato che la sola giustizia era ciò che giovava al nostro popolo, e la sola verità erano le parole del Capo. Che cosa volete da noi? Come potete pensare di pretendere da noi, a cose fatte, un comportamento diverso da quello che è stato il nostro, e da tutti quelli che erano come noi?

Siamo stati diligenti esecutori, e per la nostra diligenza siamo stati lodati e promossi.

Le decisioni non sono state nostre, perché il regime in cui siamo cresciuti non ci concedeva decisioni autonome: altri hanno deciso per noi, e non poteva avvenire altrimenti, perché eravamo stati amputati della capacità di decidere. Non solo decidere ci era stato vietato, me ne eravamo diventati incapaci.

Perciò non siamo responsabili e non possiamo essere puniti. [...] La pressione che un moderno Stato totalitario può esercitare sull'individuo è paurosa. Le sue armi sono sostanzialmente tre: la propaganda diretta, o camuffata da educazione, da istruzione, da cultura popolare; lo sbarramento opposto al pluralismo delle informazioni; il terrore.

Tuttavia non è lecito ammettere che questa pressione sia irresistibile, tanto meno nel breve termine dei dodici anni del Terzo Reich: nelle affermazioni e nelle discolpe di uomini dalle gravissime responsabilità, quali erano Hóss e Eichmann, è palese l'esagerazione, ed ancor più la manomissione del ricordo. Entrambi erano nati ed erano stati educati molto prima che il Reich diventasse veramente «totalitario» , e la loro adesione era stata una scelta, dettata più da opportunismo che da entusiasmo.

La rielaborazione del loro passato è stata opera posteriore, lenta e (probabilmente) non metodica.

Domandarsi se sia stata fatta in buona o in mala fede è ingenuo. Anche loro, così forti di fronte al dolore altrui, quando il destino li ha messi davanti ai giudici, davanti alla morte che hanno meritato, si sono costruiti un passato di comodo ed hanno finito per credervi».

(Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986, pp. 15 - 18)

A dieci anni dal suicidio di Primo Levi, mentre ancora si discute se quello di Priebke sia un crimine o l'obbedienza a un ordine superiore, mentre si tende a mettere sullo stesso piano un eccidio come quello delle Fosse Ardeatine e l'azione partigiana di via Rasella. Per non dimenticare.



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