Per non dimenticare di Luca Rando
Su un giudizio salomonico sembrano essersi mossi i
giudici che hanno condannato Erich Priebke e Karl Hass per l'eccidio delle
Fosse Ardeatine. È un giudizio importante perché afferma che i crimini contro
l'umanità non vanno in prescrizione, ma le pene, lievi, lasciano l'amaro in
bocca. Hass subito libero, Priebke tra qualche mese.
No, non ci sono ordini superiori che giustifichino un
eccidio, che giustifichino l'uccisione di un uomo, un solo uomo. Ricordarsi
delle mostruosità commesse dal nazismo, combattendo questa deriva perversa che
tende a porre tutto sullo stesso piano, a presentare gli italiani, in fondo,
come «brava gente», a negare l'Olocausto, è nostro compito imprescindibile.
Ricordiamo, allora, con le parole di Primo Levi:
«Disponiamo ormai di numerose confessioni, deposizioni,
ammissioni da parte degli oppressori [...].
A mio parere sono documenti di estrema importanza. [...]
Sono molto più importanti le motivazioni e le giustificazioni: perché lo hai
fatto? Ti rendevi conto di commettere un delitto? Le risposte a queste due
domande, o ad altre analoghe, sono molto simili tra loro [...].
Espresse con formulazioni diverse, e con maggiore o minor
protervia a seconda del livello mentale e culturale di chi parla, esse vengono
a dire sostanzialmente le stesse cose: l'ho fatto perché mi è stato comandato;
altri (i miei superiori) hanno commesso azioni peggiori delle mie; data
l'educazione che ho ricevuta, e l'ambiente in cui ho vissuto, non potevo fare
altro; se non l'avessi fatto, l'avrebbe fatto con maggiore durezza un altro al
mio posto.
Per chi legge queste giustificazioni, il primo moto è di
ribrezzo: costoro mentono, non possono credere di essere creduti, non possono non
vedere lo squilibrio fra le loro scuse e la mole di dolore e di morte che essi hanno
provocata.
Mentono sapendo di mentire: sono in mala fede. [...] Se
si leggono le dichiarazioni fatte da Eichmann durante il processo di
Gerusalemme, e di Rudolf Höss [...] nella sua autobiografia, vi si riconosce un
processo di elaborazione del passato [...]. In sostanza, questi due si sono
difesi nel modo classico dei gregari nazisti, o meglio di tutti i gregari:
siamo stati educati all'obbedienza assoluta, alla gerarchia, al nazionalismo;
siamo stati imbevuti di slogan, ubriacati di cerimonie e manifestazioni; ci
hanno insegnato che la sola giustizia era ciò che giovava al nostro popolo, e
la sola verità erano le parole del Capo. Che cosa volete da noi? Come potete
pensare di pretendere da noi, a cose fatte, un comportamento diverso da quello
che è stato il nostro, e da tutti quelli che erano come noi?
Siamo stati diligenti esecutori, e per la nostra
diligenza siamo stati lodati e promossi.
Le decisioni non sono state nostre, perché il regime in
cui siamo cresciuti non ci concedeva decisioni autonome: altri hanno deciso per
noi, e non poteva avvenire altrimenti, perché eravamo stati amputati della
capacità di decidere. Non solo decidere ci era stato vietato, me ne eravamo
diventati incapaci.
Perciò non siamo responsabili e non possiamo essere
puniti. [...] La pressione che un moderno Stato totalitario può esercitare
sull'individuo è paurosa. Le sue armi sono sostanzialmente tre: la propaganda
diretta, o camuffata da educazione, da istruzione, da cultura popolare; lo
sbarramento opposto al pluralismo delle informazioni; il terrore.
Tuttavia non è lecito ammettere che questa pressione sia
irresistibile, tanto meno nel breve termine dei dodici anni del Terzo Reich:
nelle affermazioni e nelle discolpe di uomini dalle gravissime responsabilità,
quali erano Hóss e Eichmann, è palese l'esagerazione, ed ancor più la
manomissione del ricordo. Entrambi erano nati ed erano stati educati molto
prima che il Reich diventasse veramente «totalitario» , e la loro adesione era
stata una scelta, dettata più da opportunismo che da entusiasmo.
La rielaborazione del loro passato è stata opera
posteriore, lenta e (probabilmente) non metodica.
Domandarsi se sia stata fatta in buona o in mala fede è
ingenuo. Anche loro, così forti di fronte al dolore altrui, quando il destino
li ha messi davanti ai giudici, davanti alla morte che hanno meritato, si sono
costruiti un passato di comodo ed hanno finito per credervi».
(Primo Levi, I
sommersi e i salvati, Einaudi, 1986, pp. 15 - 18)
A dieci anni dal suicidio di Primo Levi, mentre ancora si
discute se quello di Priebke sia un crimine o l'obbedienza a un ordine
superiore, mentre si tende a mettere sullo stesso piano un eccidio come quello
delle Fosse Ardeatine e l'azione partigiana di via Rasella. Per non
dimenticare.
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