sabato 3 agosto 2019

Editoriale n.13



La speranza che rinasce nell'Italia e dal Sud

L'arte, sosteniamo dall'inizio del nostro percorso, è profondamente intrecciata alle dinamiche del cambiamento sociale e politico. Come abbiamo seguito con preoccupazione crescente 1' affermarsi di una destra che ha proclamato orgogliosamente il proprio disprezzo per la cultura se non in funzione "egemonica", così oggi, dopo due anni travagliati, respiriamo a pieni polmoni il clima nuovo che si è creato in Italia, dove molti degli uomini migliori della cultura di sinistra e del mondo cattolico sono finalmente arrivati al controllo della res publica.

Io sono un comunista, e vado orgoglioso di questa appartenenza ad una storia che mi trascende. Credo che il mondo, quando avrà superato la sua età del ferro, troverà naturale con-dividere, mettere in comunione. Ma questo è un orizzonte utopico. Nell'immediato sono ben felice di ciò che è accaduto. E lo rivendico su una rivista di "scritture e arti" perché credo che mai come ora bisogna sporcarsi le mani, tornare a parlare, superare la duplice afasia dell'orfismo (camuffata da parola elettiva) e delle neo-neo-avanguardie (un'afasia logorroica!). Ammiriamolo sforzo di tutti coloro (e tra i nostri amici ce ne piace ricordare due lontanissimi tra loro: Gianni D'Elia e Marco Guzzi) che si ostinano a voler comunicare, a risanare la frattura della letteratura moderna.

Ha un senso il nostro lavoro in una depressa città del Sud dell'Italia? Mi ha dato grande speranza la provocazione di Franco Cassano ne Il pensiero meridiano (Laterza). La proposta di pensare il Sud a partire dalle sue tradizioni, dai suo valori, dai suoi archetipi geografici, per la prima volta mi ha fatto intuire che il nostro difetto di modernità può essere una possibilità e non un limite da superare affannosamente.

Il grande lavoro che c'è da fare nel mondo artistico e culturale meridionale è quello di creare ponti, scambi, intessere una fitta serie di relazioni che rendano visibile quanto di buono va facendo, chi - come noi - in piccolo, chi - e penso a Giuseppe Goffredo e alla rivista «Da qui» - in grande stile. Non per rivendicare un'appartenenza etnica, ma perché la cultura partecipi ad un grande sforzo di crescita civile che permetta alle nostre terre di liberarsi dal cancro delle mafie, di riappropriarsi del patrimonio artistico, di avere una amministrazione trasparente. Solo una cultura che si sporca le mani (Cassano la esemplifica nella figura del dottor Rieux de La peste di Camus) può contribuire a questo: essere "medici" della cultura, o, per usare una bella immagine di Luigi Bianco, "medicanti".

Nicola Sguera

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