La nuova alleanza di Nicola Sguera
Il recente viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba è
sicuramente un evento importante. Dal punto di vista simbolico esso significa
molto, sia per chi si riconosce, bene o male, in una tradizione che possiamo
definire "comunista", sia per i cristiani di tutto il mondo.
L'incontro tra due grandi uomini del nostro secolo ci indica un errore del
passato e una possibilità per il futuro. L'errore è quello del comunismo nella
sua incarnazione marxista: credere, cioè, che la religione fosse, sempre e
ovunque, «oppio dei popoli», negazione del terreno (e dunque anche del
conflitto) in nome di un aldilà consolatorio. Marx ha sbagliato.
È stato un errore clamoroso non intuire che,
dialetticamente, anche la religione poteva divenire un potente mezzo di
liberazione degli uomini. Se il movimento comunista mondiale, sin dalla metà
dell'Ottocento, avesse lavorato in questa direzione, oggi, forse, la realtà
sarebbe diversa. Perché è chiaro, ora che il "comunismo ateo" non
costituisce più una minaccia, che il vero nemico del cristianesimo (e
dell'uomo) è un capitalismo selvaggio, in cui hobbesianamente si assiste ad un bellum omnium erga omnes. E sto parlando
delle nostre vite: della mia e di quella di chi, probabilmente, mi legge,
costretto ad una diuturna battaglia per la sopravvivenza in un mondo in cui i
bisogno (indotti) da soddisfare sono sempre maggiori.
Per non parlare della realtà mostruosa della stragrande
maggioranza della popolazione mondiale, tra fame, sfruttamento del lavoro
minorile, guerre civili. È il Papa nel mondo occidentale che oggi denuncia
queste aberrazioni con più durezza, come anche le guerre neocoloniali. Questa è
la strada del futuro che l'incontro tra Castro e Giovanni Paolo II sembra
indicare per il terzo millennio: l'incontro tra un comunismo, che si libera del
suo ateismo dogmatico e ottocentesco, recuperando le "correnti calde"
della sua tradizione, e un cristianesimo che recupera il suo slancio profetico
e la sua vicinanza agli ultimi, fino al martirio. Ciò che ci viene richiesto è,
allora, la capacità di ripensare le nostre appartenenze.
Da una parte sarà necessario riscoprire e coltivare le
ragioni dello spirito, nella consapevolezza che non basta (come il secolo che
muore ci ha insegnato) modificare i rapporti di produzione per creare un uomo
nuovo, dall'altra sarà necessario smantellare in maniera decisa le impalcature
dogmatiche e le strutture di potere perché davvero il Paracleto («Placabile /
spirto discendi ancora...») possa vivificare il cuore di chi crede:
«Solo i malvagi esistono in
virtù del loro Dio, mentre i giusti, in virtù dei quali Dio esiste, hanno nelle
loro mani la santificazione del Nome, la possibilità di chiamare per nome quel
Dio che in noi agisce e preme, la porta presagita, la domanda più oscura,
lintimo esuberante che non è un fatto ma un problema. E queste sono le mani
della nostra filosofia che evoca Dio, le mani della verità come preghiera»
(Ernst Bloch, Lo spirito dell’utopia).
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