martedì 6 agosto 2019

Editoriale n.19




La nuova alleanza di Nicola Sguera


Il recente viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba è sicuramente un evento importante. Dal punto di vista simbolico esso significa molto, sia per chi si riconosce, bene o male, in una tradizione che possiamo definire "comunista", sia per i cristiani di tutto il mondo. L'incontro tra due grandi uomini del nostro secolo ci indica un errore del passato e una possibilità per il futuro. L'errore è quello del comunismo nella sua incarnazione marxista: credere, cioè, che la religione fosse, sempre e ovunque, «oppio dei popoli», negazione del terreno (e dunque anche del conflitto) in nome di un aldilà consolatorio. Marx ha sbagliato.
È stato un errore clamoroso non intuire che, dialetticamente, anche la religione poteva divenire un potente mezzo di liberazione degli uomini. Se il movimento comunista mondiale, sin dalla metà dell'Ottocento, avesse lavorato in questa direzione, oggi, forse, la realtà sarebbe diversa. Perché è chiaro, ora che il "comunismo ateo" non costituisce più una minaccia, che il vero nemico del cristianesimo (e dell'uomo) è un capitalismo selvaggio, in cui hobbesianamente si assiste ad un bellum omnium erga omnes. E sto parlando delle nostre vite: della mia e di quella di chi, probabilmente, mi legge, costretto ad una diuturna battaglia per la sopravvivenza in un mondo in cui i bisogno (indotti) da soddisfare sono sempre maggiori.
Per non parlare della realtà mostruosa della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, tra fame, sfruttamento del lavoro minorile, guerre civili. È il Papa nel mondo occidentale che oggi denuncia queste aberrazioni con più durezza, come anche le guerre neocoloniali. Questa è la strada del futuro che l'incontro tra Castro e Giovanni Paolo II sembra indicare per il terzo millennio: l'incontro tra un comunismo, che si libera del suo ateismo dogmatico e ottocentesco, recuperando le "correnti calde" della sua tradizione, e un cristianesimo che recupera il suo slancio profetico e la sua vicinanza agli ultimi, fino al martirio. Ciò che ci viene richiesto è, allora, la capacità di ripensare le nostre appartenenze.
Da una parte sarà necessario riscoprire e coltivare le ragioni dello spirito, nella consapevolezza che non basta (come il secolo che muore ci ha insegnato) modificare i rapporti di produzione per creare un uomo nuovo, dall'altra sarà necessario smantellare in maniera decisa le impalcature dogmatiche e le strutture di potere perché davvero il Paracleto («Placabile / spirto discendi ancora...») possa vivificare il cuore di chi crede:

«Solo i malvagi esistono in virtù del loro Dio, mentre i giusti, in virtù dei quali Dio esiste, hanno nelle loro mani la santificazione del Nome, la possibilità di chiamare per nome quel Dio che in noi agisce e preme, la porta presagita, la domanda più oscura, lintimo esuberante che non è un fatto ma un problema. E queste sono le mani della nostra filosofia che evoca Dio, le mani della verità come preghiera» (Ernst Bloch, Lo spirito dell’utopia).

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